Il calendario italiano ha 366 giorni (o 367)
"Il 25 Aprile segnava il punto culminante della
lotta armata e nello stesso tempo l’inizio di una nuova fase nella vita e nella
storia d’Italia. [...] Molti tra coloro che oggi amano tanto ostentare un
facile patriottismo piazzaiolo avrebbero preferito che l'Italia restasse
serva allo straniero piuttosto che essere libera per opera di popolo.
Come ogni guerra nazionale, anche la nostra è stata guerra di popolo e per questo si è cercato e si cerca, prima ancora che dagli stranieri, da parte di certi italiani degeneri di sminuirne la portata.
Si è tentato e si tenta di negare la resistenza italiana o di presentarla come il prodotto della propaganda e dell’oro straniero.
È la stessa opera di tradimento degli interessi nazionali che continua. Che continua per opera di quegli stessi che, abituati a servire lo straniero, ieri il tedesco, oggi un altro imperialismo, non possono concepire un'Italia democratica, libera e indipendente. […] Si tratta dei relitti di […] coloro che durante l'occupazione tedesca collaboravano con i tedeschi o predicavano l'attesismo. Si tratta di quegli stessi avventurieri venduti ai parassiti della finanza che si sono macchiati dei più atroci delitti ai danni del nostro popolo, che oggi in un momento così delicato per l'avvenire del nostro Paese [...] tramano ai danni dell'Italia".
Come ogni guerra nazionale, anche la nostra è stata guerra di popolo e per questo si è cercato e si cerca, prima ancora che dagli stranieri, da parte di certi italiani degeneri di sminuirne la portata.
Si è tentato e si tenta di negare la resistenza italiana o di presentarla come il prodotto della propaganda e dell’oro straniero.
È la stessa opera di tradimento degli interessi nazionali che continua. Che continua per opera di quegli stessi che, abituati a servire lo straniero, ieri il tedesco, oggi un altro imperialismo, non possono concepire un'Italia democratica, libera e indipendente. […] Si tratta dei relitti di […] coloro che durante l'occupazione tedesca collaboravano con i tedeschi o predicavano l'attesismo. Si tratta di quegli stessi avventurieri venduti ai parassiti della finanza che si sono macchiati dei più atroci delitti ai danni del nostro popolo, che oggi in un momento così delicato per l'avvenire del nostro Paese [...] tramano ai danni dell'Italia".
Pietro Secchia su
L’Unità, 25 Aprile 1946
Se cercate un articolo in cui si demonizzi la dittatura che ha distrutto il suo Paese, dove si elenchino le gesta della Resistenza o qualche storia commovente sulla liberazione di Bologna, potete già chiudere e continuare a scorrere la Home di Instagram.
Oggi è una giornata importante, delicata, così segnante
nella storia del Popolo italiano che lo spacca in due. L’anniversario della
Liberazione nazionale dovrebbe essere la festa in cui si celebra la pluralità,
la democrazia, si ricordano i partigiani caduti per i loro ideali. Era il 25
aprile 1945 quando il CLN faceva partire l’insurrezione partigiana nella
Repubblica di Salò, con il grido “Arrendersi o perire”.
Ancora oggi il lessico resta quello di Secchia, ed ancora
oggi c’è chi festeggia, chi mette sul balcone il tricolore, chi va ad ascoltare
i pochi partigiani rimasti in eventi organizzati dall’A.N.P.I., chi guarda
famosi film sulla Resistenza e intona Bella Ciao come canto della Liberazione,
e chi fin dalle 7:30 del mattino abbellisce i social con frasi come ‘Liberi da
cosa? ‘Io non festeggio!’, sottolineando come l’Italia sia schiava di Paesi
terzi, ovviamente il tutto condito con i grandi risultati del regime e una
bella foto a Predappio.
In questo marasma politico generale, però, c’è anche chi
pensa o prova altro, sentimenti contrastanti, perché in quei giorni era lì,
partigiano o no, ed ha vissuto la Storia. Ripensa a come con i suoi occhi ha
visto morire ragazzi della sua età, eccitati dall’idea dello scontro ma
spaventati dalla guerra vera, che avevano avuto la sfortuna di stare dalla
parte sbagliata, di avere “la divisa di un altro colore”. Vede nei suoi ricordi
gli occhi spenti di chi è morto per aver giurato fedeltà al suo Paese fino alla
fine, a prescindere dal proprio schieramento; chi disprezzava Mussolini e chi
lo amava, rancoroso per quell’8 settembre 1943, l’armistizio, la fuga del Re e
di Badoglio, con l’esercito abbandonato e senza ordini.
La critica al fascismo e ai suoi gerarchi spetta alla storia, ma quei milioni di ragazzi morti con il mito della Grande Italia imperiale e autarchica, diffuso dalla propaganda dell’epoca, non possono essere accomunati al fascismo. Sono morti per l’unica cosa in cui credevano e di cui abbiano mai sentito parlare.
Purtroppo ogni anno, invece di riflettere su ciò che è accaduto, sulle fondamenta della Nostra Repubblica, sporca di sangue fratricida e carica di lacrime (e dollari americani), si sfocia nello sfottò più becero, a chi grida più forte Giovinezza o Bella Ciao (o chi non la canta perché nel 2020 pensa ancora sia una canzone comunista). C’è persino chi pensa al povero Umberto II, esiliato per preservare l’ordine pubblico o nel nome di un messaggio politico, ma pur sempre tenuto lontano dalla propria terra.
Poi, siccome il Parlamento rappresenta il popolo, abbiamo chi, come l’ex ministro Ignazio La Russa, sostiene l’idea secondo cui il 25 Aprile debba essere la “Ricorrenza per i morti per Coronavirus”, e chi ha una minima conoscenza della scena politica sa chi è Ignazio La Russa e cosa dichiara ogni anno in merito.
La verità è che finché l’Italia esisterà, ogni anno ci sarà la stessa sterile polemica.
Gli uni daranno agli altri dei fascisti, comunisti, traditori, mangia-bambini, democristiani e via dicendo. Da una parte c’è chi dice che sarebbe l’ora di ignorare i cosiddetti revisionisti, o addirittura censurarli; dall’altra Consiglieri comunali che affermano “Fate andare i partigiani dell’A.N.P.I. in piazza, visto che c’è il Coronavirus” e altre frasi da stadio.
Tipico di noi Italiani vero?
Magari fossimo sempre uniti come quando gioca la Nazionale, ma invece no, abbiamo ai vertici della stampa nazionale chi ritiene che i Meridionali siano inferiori.
La terza strofa dell’Inno di Mameli recita “Noi siamo da secoli/Calpesti, derisi/Perché non siam Popolo/Perché siam divisi/Raccolgaci un’Unica/Bandiera una Speme/Di fonderci insieme/Già l’ora suonò”: parole, parole al vento.
Il calendario italiano ha un giorno in più degli altri, perché una nazione è il suo Popolo, e ogni anno il nostro Paese è spaccato in 2, celebra due 25 Aprile separati. Non ci sarà mai il rispetto dei morti, la consapevolezza che in fondo “ognuno piange i suoi”: utopia.
Auguriamo a chi vive questa settantacinquesima Liberazione di riflettere, seduti sulle sponde del fiume di sangue (non il Po, purtroppo per Feltri) che scorre sotto le fondamenta della nostra Repubblica, il sangue di cui è fatta la Costituzione Italiana e che è appartenuto a uomini, ragazzi, fratelli.
Gianmarco Morelli con
la partecipazione di Giuseppe Mancino
„Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l'ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione“. Cesare Pavese
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