Homo homini lupus
Noi tutti stiamo vivendo un periodo storico molto particolare: quello del Coronavirus. Obbligati a rimanere in casa, abbiamo dovuto cambiare radicalmente le nostre abitudini. Ogni giorno vediamo scenari in cui supermercati vengono assaliti dalle folle che fanno di tutto per accaparrarsi gli alimenti, non curanti del fatto che ci possano essere persone che dovranno aspettare il rifornimento del negozio per fare la spesa.
Negli USA poi la gente fa lunghissime file ai negozi d’armi per comprare una pistola per difendere la propria famiglia da un eventuale attacco in casa ad opera di qualcuno meno fortunato di noi, che sarebbe disposto a fare di tutto per procurare da mangiare a i suoi figli. La situazione è assurda, ma semplicemente amplifica l’egoismo e l’avidità che da sempre contraddistingue la nostra razza. Questi sono alcuni dei temi affrontati da un film uscito proprio a metà marzo di quest’anno. Effettivamente l’attualità dei temi di questa pellicola è spaventosamente calzante. Il film in questione è “IL BUCO” ( il titolo tradotto in italiano non suona benissimo; in spagnolo infatti si chiama “el hoyo”, meglio ancora in inglese “the platform”), spagnolo, di produzione Netflix, uscito sulla piattaforma streaming il 20 marzo in Italia.
La pellicola manifesta molteplici chiavi di lettura e perciò in questa recensione ne verranno delineate alcune.
Questo è un film altamente simbolico, da guardare nella sua interezza, senza ancorarsi unicamente alla trama e al susseguirsi dei fatti. Fin dai primi 5 minuti si avverte un alto livello di tensione ma non scoraggiatevi perché, a mio avviso, vale la pensa vederlo.
Nella prima scena il protagonista Goreng partecipa a un colloquio per prendere parte a un esperimento sociale, per il quale poi verrà scelto.
Tutta la storia è ambientata in una prigione verticale, ogni piano della struttura ha una cella in cui vivono per un mese due detenuti. Alla fine del mese i detenuti vengono addormentati e portati in un altro piano della prigione scelto casualmente. Alcuni prigionieri sono nel carcere a causa dei crimini da loro commessi, altri invece, come Goreng, hanno fatto un colloquio per partecipare consapevolmente all’esperimento. Bisogna anche dire che ogni detenuto può portare un oggetto e la maggior parte di loro sceglie un’arma. Al centro di ogni cella c’è un buco (Quindi è possibile vedere chi risiede nelle celle superiori e chi in quelle inferiori.) all’interno del quale, una volta ogni giorno, si muove una piattaforma con sopra del cibo preparato da chef di alta cucina. Questa piattaforma si muove dal piano più in alto, il n.1, fino ad arrivare al piano più basso. Ma gli alimenti riusciranno ad arrivare a tutti, quindi anche al piano più basso?
Il film viene narrato dal punto di vista di Goreng che, dopo aver capito il meccanismo della “Fossa”, decide di immolarsi per la causa cercando di risolvere il problema. La soluzione è semplice e viene detta fin dai primi minuti, ovvero: basterebbe razionare le porzioni di cibo, in modo tale che gli alimenti possano arrivare anche ai piani più bassi. Proprio di questo cercherà di occuparsi Goreng che verrà chiamato anche il “Messia”, dato che, proprio come Gesù, sceglie di battersi per gli altri e verrà anche deriso da molti. Su quello che accadrà a Goreng preferisco non dirvi altro. Piuttosto vi consiglio di guardare il film. Infatti, anche se per alcuni di voi potrà sembrare crudo e ansiogeno, credo proprio che il fatto che i messaggi che il film intende dare siano così diretti e la loro capacità di arrivare dritti alla pancia dello spettatore sia uno dei validi motivi per vederlo e dargli una chance.
Inoltre, di sicuro questo film delinea una critica alla nostra società. A partire dalla struttura verticale del carcere che rappresenta la gerarchia della società capitalista, il riflesso di un mondo dove solo chi è in alto ha il diritto e la responsabilità di scegliere la sorte di chi sta più in basso. Difatti nel film è evidente come l’uomo, per istinto di sopravvivenza e egoismo, non si cura di valori come la solidarietà, l’altruismo e la giustizia.
Sempre parlando della struttura della prigione, è possibile poi osservare alcuni dei connotati tipici dell’Inferno dantesco: come nelle Cantiche del poeta, anche nel film vi sono 33 piani. I carcerati sono 66, due per ogni piano, come il numero di Lucifero. In una scena è presente uno dei carcerati che protegge i suoi soldi, come se li potessero servire in quel luogo. Metaforicamente questo personaggio identifica l’avaro. Poi vi è un’altra scena in cui, nel quinto piano, i prigionieri hanno un rapporto sessuale evocando il lussurioso scenario del V canto dell’Inferno. Un altro simbolo carico di significato è l’oggetto che Goreng decide di portare con sé durante l’esperimento: il romanzo “Don Chisciotte”. Al contrario degli gli altri detenuti che preferiscono portare un ‘arma, paradigma della forza bruta e della priorità della difesa,
Goreng predilige la forza dello spirito. Ed infatti “Don Chisciotte della Mancia” non è scelto a caso; il protagonista del romanzo tenta di combattere i mulini a vento per cercare di scardinare un sistema, a suo avviso, corrotto.
Ovviamente per quanto riguarda il finale non vi dirò nulla. Posso solo dirvi che, a mio avviso, il regista sfida lo spettatore a cambiare questa società che, come nel film, configura sempre più l’espressione Plautina “Homo Homini Lupus” per cui l’uomo in natura si trasforma in bestia.
Denise Attari
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