Progresso: ritratto chiaroscurale della storia
Progresso: in senso assoluto, “l’acquisizione da parte dell’umanità di forme di vita migliori e più complesse”. Progredire, avanzare, andare avanti. Eppure ci sono parole, come la parola progresso, il cui significato è così ampio, così generico e allo stesso tempo così carico di sfumature che delinearlo non è mai immediato. Per questo motivo molti letterati hanno trattato il tema del progresso alla luce del contesto socio-culturale e socio-politico della loro epoca, offrendo quindi una vasta gamma di concezioni, talvolta addirittura opposte.
1700; Illuminismo: è progresso l’autonomia della ragione, la libertà di pensiero, la libertà di stampa. E’ progresso la lotta al pregiudizio, al fanatismo, al dogmatismo. E’ progresso il cosmopolitismo e la diffusione della cultura. E’ un’esigenza di avanzare, progredire, spingersi oltre al fine di creare una società sempre migliore, con quello spirito fiducioso e ottimistico che è proprio di quel secolo. Progresso è evoluzione, avanzamento, miglioramento, eppure è parte dell’indole umana pensare che ci debba sempre essere quell’altro lato della medaglia, pensare che ciò che potrebbe apparire bianco sia in realtà nero. Sono tanti gli autori che, nel corso dei secoli, non si sono limitati a scorgere nel progresso un sinonimo di ‘miglioramento’, evidenziandone determinati aspetti che, seppur individuati in contesti socio-politici differenti e con determinate correnti di pensiero lontane da noi, non riesce difficile considerarli incredibilmente attuali.
Giovanni Verga, maggiore esponente del verismo italiano nella seconda metà del 1800, nella prefazione ai ‘Malavoglia’ descrive il progresso come una ‘fiumana inarrestabile’, come la corsa di un fiume irrefrenabile, travolgente, imponente. Da lontano è apparentemente grandioso, addirittura maestoso. Tuttavia, è uno scenario apparente, ingannevole, perché quel corso inarrestabile trascina con sé le vittime di un sistema più grande di loro: ‘Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l'accompagna dileguansi le irrequietudini, le avidità, l'egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l'immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c'è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l'attività dell'individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti’. (Giovanni Verga, prefazione a ‘I Malavoglia’). E così gli individui non sono altro che vinti; vinti dalla loro stessa bramosia di ottenere sempre ciò che è migliore, in una lotta incessante di cui i più deboli ne risultano vittime. E’ una prospettiva esaltante quella del progresso, ma al contempo materiata d’infelicità.
Eppure quale altro scopo potrebbe esserci se non quello di migliorare la condizione umana? Quale altro scopo più profondo, radicato, viscerale, se non quello della ricerca della felicità? Sembrerà azzardato compiere un salto: XXI secolo, l’era dell’innovazione tecnologica, i più avanzati mezzi di comunicazione. L’era dell’accelerazione, dello sviluppo, della ricerca incessante di ciò che ancora non si è raggiunto e si vuole raggiungere. Tutto in fondo è a misura d’uomo, tutto ci è concesso in un attimo. E’ costante crescita, è progresso. Si sta andando avanti, sempre più avanti, e anche con il piede sull’acceleratore. Ma allora al tempo stesso cos’è quella fastidiosa, pungente sensazione di regredire, di non andare da nessun’altra parte se non indietro? Come se fosse un perenne regredire. Sempre XXI secolo: mediocrità, inettitudine, superficialità. Paradossale l’abitudine di non essere capaci a sfruttare quel progresso di cui noi stessi ne siamo gli artefici; paradossale come, quando tutto è a misura d’uomo, viene meno l’uomo, con la sua capacità di pensiero, il ragionamento, i suoi valori; vinti dalla nostra stessa bramosia di ottenere sempre ciò che è migliore, travolti da quella stessa ‘fiumana del progresso’ incessante di cui parlava Verga. Occorre ribadire ancora una volta la diversità dei contesti, di due epoche ben diverse; eppure in fondo alcuni meccanismi non cambiano mai, riproponendosi in circostanze diverse ma con la stessa dirompente persistenza. Come non cambia quell’idea ben comune che le epoche passate siano migliori dell’attuale, arrivando a guardare con nostalgia epoche mai vissute, eppure spesso ritenute migliori. Anche Giacomo Leopardi parlava di una contrapposizione tra la misera condizione umana del presente e la grandezza dei tempi antichi, con i loro modelli di virtù, di energia, di forza. Parlava del suo presente come di un presente popolato dalla nullità dei molti: ‘..a questo secol morto, al quale incombe tanta nebbia di tedio’. Ancora una volta: mediocrità, inettitudine e superficialità, perché forse, tornando al giorno d’oggi, il regresso morale è il prezzo da pagare per quel progresso tecnologico, scientifico e meccanico di cui ci nutriamo quotidianamente. Eppure, la presa di consapevolezza di ciò non potrebbe essere già di per sé progresso?
Martina Rossetti
Commenti
Posta un commento