La Mafia e l'Economia. La multinazionale
Mafia mafia mafia. Mi sono chiesto prima di cominciare a scrivere qual è la vostra percezione del fenomeno. Qualcosa che fa parte della tradizione? Legato alla strada? Ingiusto? Feroce? Non ve ne frega nulla? La particolarità del fenomeno è che è tutto e il contrario di tutto questo. Come uno stato. In effetti la mafia è uno stato per certi versi: uno stato nello stato per la precisione. Ha un proprio esercito, una propria economia, addirittura una propria giurisdizione. Se dovessi trovare un metro di paragone, direi che è simile all’influenza. È latente, qualche volta ce la prendiamo, poi la sconfiggiamo, e ritorna periodicamente. Per l’influenza solitamente i periodi migliori sono i cambi di stagione. Per la mafia, invece, alcuni governi meno oppressivi, o, perché no, con qualche infiltrazione. Va fatta una premessa in questo caso: non ci sono governi in cui non ci siano infiltrazioni di gruppi di potere, se capite questo concetto avete capito come funziona la questione politica e/o economica, anche mafiosa.
La mafia non è un demone, è semplicemente uno di questi gruppi di potere. Alcuni gruppi giocano con la disinformazione, la mafia usa altre armi, anche in senso letterale. Controllo del territorio, si chiama. Questo è quello che li caratterizza, a differenza degli altri gruppi, che sono parti di elites industriali/mediatiche. Dallo stesso controllo del territorio deriva allo stesso tempo la sua forza e il suo sostentamento. Tutti sappiamo la cresta delle loro attività: spaccio, usura, prostituzione, gioco d’azzardo, appalti, armi, racket. Tutto ciò anche secondo le credenze delle varie zone. A differenza dei gruppi di potere tradizionali, infatti, quello mafioso, seppur molto meno di quanto non facesse prima, ha un proprio codice “morale” secondo cui alcune attività sono sconvenienti (siamo chiaramente fuori dall’ambito della legalità, d’altronde loro ammettono di non rispondere al codice normativo statuale). All’inizio dell’ascesa del mercato della droga, ad esempio, anni 70/80, la vecchia guardia non era d’accordo con l’apertura di questo canale perché rovinoso per i ragazzi, come d’altronde per molto tempo è restato un tabù la prostituzione, vergognosa per la figura della donna come mamma e moglie delle zone meridionali.
Negli ultimi 50 anni la mafia ha subito una radicale trasformazione, passando da un contesto regionale e agricolo ad uno nazionale ed industriale. Fino agli anni 60, infatti, i mafiosi assomigliavano più a signorotti locali alla Don Rodrigo dei Promessi Sposi che non a quel che sono oggi. Questo perché i principali sostentamenti italiani (in America il cambiamento era già in atto dai tempi del Proibizionismo) erano agricoltura e allevamento, specie nel sud arretrato del Dopoguerra. Quindi macellazione clandestina, soprusi sui raccolti e sulle terre e altro ancora. Famoso è a questo proposito l’omicidio di Placido Rizzotto, sindacalista corleonese che si oppose alla dittatura agricola del dott. Michele Navarra, boss del paese. È in questo contesto secolare che si è sviluppata la fedeltà omertosa che lega i cittadini di queste terre all’istituzione mafia, molto più istituzione dell’istituzione statuale fin dai tempi della nascita del Regno d’Italia. Agli occhi dei paesani, rassegnati da dominazioni secolari straniere, per molto tempo lo Stato Italiano è rimasta solo un’altra forma di dominio, e per molti ancora oggi lo è. Questo vuoto di autorità è stato colmato in un centinaio di anni dall’istituzione mafiosa, che si è semplicemente autolegittimata con l’uso della forza fino a divenire accettata con rassegnazione: il controllo del territorio di cui parlavo. L’autorità politica ha risposto a questa situazione sfruttandola a proprio favore. Memori infatti del periodo di sollevazione popolare post unificazione noto come “brigantaggio”, la classe dirigente trovò nella mafia un interlocutore perfetto per il proprio riconoscimento. Delegando infatti la propria autorità (che non riusciva ad attecchire) agli uomini d’onore in cambio di favori di tipo economico/giudiziale, essa veniva, almeno formalmente, legittimata col voto. Ragazzi, questo è, il resto sono favolette, e lo dico senza il minimo attacco, ma per onestà intellettuale.
Con questo torniamo agli anni 60. La situazione in Italia va sempre più evolvendosi, è arrivato il famoso boom economico. La mafia, da affarista attenta qual è, ci è entrata dentro con tutte le scarpe. Gli appalti crescono a vista d’occhio, non si tratta più solamente di gare per il controllo di limitate opere pubbliche o di sporadiche concessioni. C’è più liquidità, ci sono business più profittevoli e la mafia ci lucra sopra, c’è da mangiare per tutti, anche per i colletti bianchi collusi e concussi. In Italia sentiamo spesso queste paroline capendoci relativamente poco. Ve lo spiego a favoletta: quando un comune deve realizzare un’opera/servizio per noi, lo appalta, cioè stipula un contratto con un’azienda privata incaricata, specializzata nella questione di merito. La maggior parte degli appalti, per giustizia, vengono affidati tramite gare. In base ai requisiti richiesti dall’amministrazione, alcune aziende si propongono, avanzando le proprie offerte sull’obbligazione da adempiere. L’amministrazione, a sua volta, sceglie la migliore proposta in merito a costi e benefici. Occhio però, perché potrebbe succedere che l’amministrazione stessa, se in malafede, a volte imposti i requisiti di partecipazione alla gara (con parametri superflui e/o discutibili) in modo che questi rispecchino in toto una e una sola azienda appaltatrice, che essendo l’unica appropriata nei parametri, per forza di cose vince la gara. Non si tratta di migliore offerta, semplicemente le altre sono estromesse in partenza. Questo è uno dei dei modi più in voga ultimamente, ma potrebbe anche essere più difficile: potrebbe capitare, infatti, che anche un’altra azienda per puro caso rispecchi perfettamente i parametri stringenti per partecipare alla gara. In quel caso la si intimidisce a tal punto da ritirarsi, semplice. Le aziende vincitrici sono di solito collegate indirettamente attraverso prestanomi puliti, di solito persone incensurate, a figure di spicco della malavita. Nell’adempiere l’obbligazione richiesta dall’appalto di solito succedono una serie di cose: i costi, chissà perché, lievitano a dismisura rispetto a quelli iniziali, per vizi che non erano stati previsti, secondo l’azienda appaltatrice. Qui succedono due cose: o l’amministrazione eroga altri fondi per la conclusione, portando magari i costi al doppio, oppure le opere/servizi vengono interrotti, lasciando quei mostri di cemento incompiuti che di solito immortala Striscia La Notizia per i boomer, con l’azienda che, se colpevole, ha probabilmente gonfiato i costi nel primo caso, nel secondo intascato quel che era stato pattuito, adempiendo solo parzialmente. Peggio ancora è quando le opere vengono concluse in fretta e in furia, cadono i ponti dopo due settimane, e siamo tutti indinniati :1:1.
Oltre al numero degli appalti, nei Settanta cresce lo spaccio. Il fenomeno droga in Italia è scorretto dire che sia partito con la mafia, semmai quest’ultima lo ha adottato e ne ha stabilito la supremazia. Se i ventenni chiedono ai propri genitori, saranno informati in modo quasi certo della perdita di qualche amico in giovane età causa eroina, che mieteva vittime a dismisura in quel periodo. La mafia all’inizio guardava a questo business con lo scetticismo morale che avevo già accennato, tipico della vecchia guardia, abituata a uno stile sobrio e rispettoso dei costumi cattolici, quindi contrario all’uso della droga, e fermo al solito contrabbando di sigarette, elemento folkloristico del sud della prima età repubblicana. Ma l’Italia stava cambiando, e la mafia si adottò al trend anche perché molto redditizio, anche se più rischioso rispetto agli appalti. I canali della droga per l’Italia sono principalmente due: Sudamerica con grandi navi container nei porti di Sicilia, Campania e soprattutto Calabria, che ha rapporti diretti con i cartelli più grossi della Colombia, e in minima parte Balcani, che hanno da sempre uno stretto legame, anche per quanto riguarda le armi, con la SCU, la mafia pugliese. Da studiare per i futuri manager, propongo la genialità logistica di Paolo Di Lauro nel convertire le famosissime “vele” di Scampia, nel più grande ipermercato europeo della droga.
Ho parlato di droga e appalti, le due più grandi fonti di sostentamento della mafia, ma la verità è che l’ho fatto solo a grandi linee. Esse infatti sono solo macroaree in cui si sviluppano i loro affari. Ragionano come un’azienda, a tutti gli effetti sono potenze multinazionali, perciò sono perennemente alla ricerca di nuovi business illegali in cui penetrare. Mafia Capitale ci ha insegnato, ad esempio, l’idea innovativa di Buzzi e Carminati di puntare sull’immigrazione, raccogliendo nel proprio consorzio di cooperative, un grande numero di centri di accoglienza per migranti e addirittura la gestione di un campo nomade, ma siamo sempre negli appalti truccati. Parliamo comunque di appalti quando ci facciamo domande sulla famigerata “Terra dei fuochi” in Campania, non dimenticate infatti che la gestione dei rifiuti è anch’essa appaltata.
Paragoniamo il sistema economico mafioso ad un’azienda come la Ferrero, che si occupa di dolciumi. I dolci stanno alla Ferrero esattamente come la speculazione illegale sul sistema pubblico sta alla mafia. Così come la Ferrero ha il settore Kinder o quello dei cioccolatini Rocher, Mon Cheri ecc, la mafia ha il settore appaltizio/droga/racket (pizzo ed estorsioni)/gioco d’azzardo ecc, e se vogliamo capillarizzare ancora di più il discorso, la kinder delice è uguale allo spaccio di una determinata sostanza, ad occhio e croce la delice dovrebbe portare all’azienda Ferrero gli stessi proventi, in proporzione, che lo spaccio di mdma porta alla mafia. Quindi possiamo vedere, in fondo, come la mafia si sia semplicemente adattata al modello economico capitalistico per far sopravvivere la propria influenza, anche perché se fosse rimasta a livello agricolo, lo avrebbe fatto in un’economia che punta il 10% delle proprie risorse odierne nel primario. Si può parlare di vera e propria rivoluzione industriale quindi, di pari passo con quella italiana del secondo dopoguerra. Sono businessman come tanti altri, semplicemente noi abbiamo deciso che loro si muovono nell’illegale e le aziende farmaceutiche che spacciano Subotex, Rivotril, Xanax e Valium no. Questione di punti di vista.
È chiaro che da parte loro non c’è la stessa difficoltà di un grosso imprenditore che si deve muovere nell’ambito legale, con i sindacati che spingono, la burocrazia che tampona, la crisi che blocca, ma d’altra parte spesso c’è la difficoltà di nascondere i propri affari e se stessi, gestendo nascosti nei bunker grossi capitali di proventi illegali e dovendoli reinvestire in seconde imprese economiche legali per lavare lo sporco dal denaro che intascano.
La mafia non è un demone, è semplicemente uno di questi gruppi di potere. Alcuni gruppi giocano con la disinformazione, la mafia usa altre armi, anche in senso letterale. Controllo del territorio, si chiama. Questo è quello che li caratterizza, a differenza degli altri gruppi, che sono parti di elites industriali/mediatiche. Dallo stesso controllo del territorio deriva allo stesso tempo la sua forza e il suo sostentamento. Tutti sappiamo la cresta delle loro attività: spaccio, usura, prostituzione, gioco d’azzardo, appalti, armi, racket. Tutto ciò anche secondo le credenze delle varie zone. A differenza dei gruppi di potere tradizionali, infatti, quello mafioso, seppur molto meno di quanto non facesse prima, ha un proprio codice “morale” secondo cui alcune attività sono sconvenienti (siamo chiaramente fuori dall’ambito della legalità, d’altronde loro ammettono di non rispondere al codice normativo statuale). All’inizio dell’ascesa del mercato della droga, ad esempio, anni 70/80, la vecchia guardia non era d’accordo con l’apertura di questo canale perché rovinoso per i ragazzi, come d’altronde per molto tempo è restato un tabù la prostituzione, vergognosa per la figura della donna come mamma e moglie delle zone meridionali.
Negli ultimi 50 anni la mafia ha subito una radicale trasformazione, passando da un contesto regionale e agricolo ad uno nazionale ed industriale. Fino agli anni 60, infatti, i mafiosi assomigliavano più a signorotti locali alla Don Rodrigo dei Promessi Sposi che non a quel che sono oggi. Questo perché i principali sostentamenti italiani (in America il cambiamento era già in atto dai tempi del Proibizionismo) erano agricoltura e allevamento, specie nel sud arretrato del Dopoguerra. Quindi macellazione clandestina, soprusi sui raccolti e sulle terre e altro ancora. Famoso è a questo proposito l’omicidio di Placido Rizzotto, sindacalista corleonese che si oppose alla dittatura agricola del dott. Michele Navarra, boss del paese. È in questo contesto secolare che si è sviluppata la fedeltà omertosa che lega i cittadini di queste terre all’istituzione mafia, molto più istituzione dell’istituzione statuale fin dai tempi della nascita del Regno d’Italia. Agli occhi dei paesani, rassegnati da dominazioni secolari straniere, per molto tempo lo Stato Italiano è rimasta solo un’altra forma di dominio, e per molti ancora oggi lo è. Questo vuoto di autorità è stato colmato in un centinaio di anni dall’istituzione mafiosa, che si è semplicemente autolegittimata con l’uso della forza fino a divenire accettata con rassegnazione: il controllo del territorio di cui parlavo. L’autorità politica ha risposto a questa situazione sfruttandola a proprio favore. Memori infatti del periodo di sollevazione popolare post unificazione noto come “brigantaggio”, la classe dirigente trovò nella mafia un interlocutore perfetto per il proprio riconoscimento. Delegando infatti la propria autorità (che non riusciva ad attecchire) agli uomini d’onore in cambio di favori di tipo economico/giudiziale, essa veniva, almeno formalmente, legittimata col voto. Ragazzi, questo è, il resto sono favolette, e lo dico senza il minimo attacco, ma per onestà intellettuale.
Con questo torniamo agli anni 60. La situazione in Italia va sempre più evolvendosi, è arrivato il famoso boom economico. La mafia, da affarista attenta qual è, ci è entrata dentro con tutte le scarpe. Gli appalti crescono a vista d’occhio, non si tratta più solamente di gare per il controllo di limitate opere pubbliche o di sporadiche concessioni. C’è più liquidità, ci sono business più profittevoli e la mafia ci lucra sopra, c’è da mangiare per tutti, anche per i colletti bianchi collusi e concussi. In Italia sentiamo spesso queste paroline capendoci relativamente poco. Ve lo spiego a favoletta: quando un comune deve realizzare un’opera/servizio per noi, lo appalta, cioè stipula un contratto con un’azienda privata incaricata, specializzata nella questione di merito. La maggior parte degli appalti, per giustizia, vengono affidati tramite gare. In base ai requisiti richiesti dall’amministrazione, alcune aziende si propongono, avanzando le proprie offerte sull’obbligazione da adempiere. L’amministrazione, a sua volta, sceglie la migliore proposta in merito a costi e benefici. Occhio però, perché potrebbe succedere che l’amministrazione stessa, se in malafede, a volte imposti i requisiti di partecipazione alla gara (con parametri superflui e/o discutibili) in modo che questi rispecchino in toto una e una sola azienda appaltatrice, che essendo l’unica appropriata nei parametri, per forza di cose vince la gara. Non si tratta di migliore offerta, semplicemente le altre sono estromesse in partenza. Questo è uno dei dei modi più in voga ultimamente, ma potrebbe anche essere più difficile: potrebbe capitare, infatti, che anche un’altra azienda per puro caso rispecchi perfettamente i parametri stringenti per partecipare alla gara. In quel caso la si intimidisce a tal punto da ritirarsi, semplice. Le aziende vincitrici sono di solito collegate indirettamente attraverso prestanomi puliti, di solito persone incensurate, a figure di spicco della malavita. Nell’adempiere l’obbligazione richiesta dall’appalto di solito succedono una serie di cose: i costi, chissà perché, lievitano a dismisura rispetto a quelli iniziali, per vizi che non erano stati previsti, secondo l’azienda appaltatrice. Qui succedono due cose: o l’amministrazione eroga altri fondi per la conclusione, portando magari i costi al doppio, oppure le opere/servizi vengono interrotti, lasciando quei mostri di cemento incompiuti che di solito immortala Striscia La Notizia per i boomer, con l’azienda che, se colpevole, ha probabilmente gonfiato i costi nel primo caso, nel secondo intascato quel che era stato pattuito, adempiendo solo parzialmente. Peggio ancora è quando le opere vengono concluse in fretta e in furia, cadono i ponti dopo due settimane, e siamo tutti indinniati :1:1.
Oltre al numero degli appalti, nei Settanta cresce lo spaccio. Il fenomeno droga in Italia è scorretto dire che sia partito con la mafia, semmai quest’ultima lo ha adottato e ne ha stabilito la supremazia. Se i ventenni chiedono ai propri genitori, saranno informati in modo quasi certo della perdita di qualche amico in giovane età causa eroina, che mieteva vittime a dismisura in quel periodo. La mafia all’inizio guardava a questo business con lo scetticismo morale che avevo già accennato, tipico della vecchia guardia, abituata a uno stile sobrio e rispettoso dei costumi cattolici, quindi contrario all’uso della droga, e fermo al solito contrabbando di sigarette, elemento folkloristico del sud della prima età repubblicana. Ma l’Italia stava cambiando, e la mafia si adottò al trend anche perché molto redditizio, anche se più rischioso rispetto agli appalti. I canali della droga per l’Italia sono principalmente due: Sudamerica con grandi navi container nei porti di Sicilia, Campania e soprattutto Calabria, che ha rapporti diretti con i cartelli più grossi della Colombia, e in minima parte Balcani, che hanno da sempre uno stretto legame, anche per quanto riguarda le armi, con la SCU, la mafia pugliese. Da studiare per i futuri manager, propongo la genialità logistica di Paolo Di Lauro nel convertire le famosissime “vele” di Scampia, nel più grande ipermercato europeo della droga.
Ho parlato di droga e appalti, le due più grandi fonti di sostentamento della mafia, ma la verità è che l’ho fatto solo a grandi linee. Esse infatti sono solo macroaree in cui si sviluppano i loro affari. Ragionano come un’azienda, a tutti gli effetti sono potenze multinazionali, perciò sono perennemente alla ricerca di nuovi business illegali in cui penetrare. Mafia Capitale ci ha insegnato, ad esempio, l’idea innovativa di Buzzi e Carminati di puntare sull’immigrazione, raccogliendo nel proprio consorzio di cooperative, un grande numero di centri di accoglienza per migranti e addirittura la gestione di un campo nomade, ma siamo sempre negli appalti truccati. Parliamo comunque di appalti quando ci facciamo domande sulla famigerata “Terra dei fuochi” in Campania, non dimenticate infatti che la gestione dei rifiuti è anch’essa appaltata.
Paragoniamo il sistema economico mafioso ad un’azienda come la Ferrero, che si occupa di dolciumi. I dolci stanno alla Ferrero esattamente come la speculazione illegale sul sistema pubblico sta alla mafia. Così come la Ferrero ha il settore Kinder o quello dei cioccolatini Rocher, Mon Cheri ecc, la mafia ha il settore appaltizio/droga/racket (pizzo ed estorsioni)/gioco d’azzardo ecc, e se vogliamo capillarizzare ancora di più il discorso, la kinder delice è uguale allo spaccio di una determinata sostanza, ad occhio e croce la delice dovrebbe portare all’azienda Ferrero gli stessi proventi, in proporzione, che lo spaccio di mdma porta alla mafia. Quindi possiamo vedere, in fondo, come la mafia si sia semplicemente adattata al modello economico capitalistico per far sopravvivere la propria influenza, anche perché se fosse rimasta a livello agricolo, lo avrebbe fatto in un’economia che punta il 10% delle proprie risorse odierne nel primario. Si può parlare di vera e propria rivoluzione industriale quindi, di pari passo con quella italiana del secondo dopoguerra. Sono businessman come tanti altri, semplicemente noi abbiamo deciso che loro si muovono nell’illegale e le aziende farmaceutiche che spacciano Subotex, Rivotril, Xanax e Valium no. Questione di punti di vista.
È chiaro che da parte loro non c’è la stessa difficoltà di un grosso imprenditore che si deve muovere nell’ambito legale, con i sindacati che spingono, la burocrazia che tampona, la crisi che blocca, ma d’altra parte spesso c’è la difficoltà di nascondere i propri affari e se stessi, gestendo nascosti nei bunker grossi capitali di proventi illegali e dovendoli reinvestire in seconde imprese economiche legali per lavare lo sporco dal denaro che intascano.
È un giro complicato che facciamo fatica a comprendere noi che viviamo la nostra vita quotidiana, ignari degli affari alle nostre spalle, continuando un po’ col bastone e un po’ con la carota. Spero di avervi aperto e alfabetizzato alla questione almeno un po’. Il discorso è gigantesco, pieno di mille risvolti che per tempo e spazio non posso approfondire, ma il resto lo potete trovare come me su Internet. Diffidate solo da analisi che sorvolano su cause effetto e che fanno sommari elenchi di uccisioni. Anche perché la verità giudiziaria non è mai la verità, è solo la verità…giudiziaria. Aprite la mente.
Scritto da Antonio Pugliese
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