La storia racconta: le origini della Mafia
“Con il termine mafia si intende un sistema di potere esercitato attraverso l’uso della violenza e dell’intimidazione per il controllo del territorio, di commerci illegali e di attività economiche e imprenditoriali; è un potere che si presenta come alternativo a quello legittimo, fondato sulle leggi e rappresentato dallo Stato.
Un sistema di contro-potere dunque, con una gestione gerarchica e verticistica, basata su regole interne a loro volta fondate sull’uso della violenza e dell’intimidazione.”
La definizione fornita dall’Enciclopedia Treccani non esplica le cause e l’origine del termine, per tale ragione è fondamentale fare chiarezza su questi aspetti grazie all’ausilio di documenti ufficiali e fonti storiche oggettive.
Una prima descrizione del fenomeno risale al 1838, all’interno di una pubblicazione redatta in Sicilia dal funzionario del Regno delle Due Sicilie, Pietro Calà Ulloa, che scrive: «Ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senza altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di fare esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggerlo, ora d'incolpare un innocente... Molti alti magistrati coprono queste fratellanze di una protezione impenetrabile.»
L’origine del termine è stato oggetto di studio per molti intellettuali e ha generato, nel corso del tempo, numerose ipotesi.
Un primo tentativo accosta la parola mafia a termini di origine araba. Tale convinzione ritrova la sua giustificazione nel fatto che ci fosse stata un forte presenza islamica, tra IX e XI secolo, nel territorio siciliano, luogo al quale si attribuisce la nascita dell’organizzazione criminale.
Uno dei maggiori storici della mafia, Giuseppe Carlo Marino, prende in considerazione il termine arabo “mahays” che indicherebbe “spavalderia, arroganza”. Tuttavia tale accostamento verrà in seguito criticato da Claudio Lo Monaco, il quale riterrà il termine “marfud” più vicino al significato attuale.
Nonostante l’acceso dibattito, l’assenza della parola nella documentazione araba e la mancata descrizione del fenomeno in epoca medievale, rendono molto improbabile l’origine islamica del termine.
A tal proposito, alcuni storici si distaccano dalla possibile origine meridionale ricercandola in dialetti o modi di dire nordici.
Santi Correnti sostiene la provenienza toscana.
Avvalendosi dei primi testi giuridici, sottolinea come il vocabolo sia scritto con la doppia f, ovvero “maffia”, proprio alla maniera toscana.
In merito a tale constatazione, Marino ha espresso un forte disappunto. Secondo lo storico è impensabile ritenere tale fenomeno importato in una regione, come la Sicilia, all’interno della quale sono presenti caratteristiche singolari e estremamente radicate dello stesso.
Suppone l’origine nord italiana anche Pasquale Natella ricordando come a Venezia e a Trento si usasse il termine “maffia” per indicare un comportamento superbo e altezzoso. Ciò non garantisce l’origine nordica del termine, piuttosto conferma nuovamente la diffusione di parole siciliane nell’intera penisola. È, inoltre, doveroso sottolineare che spesso termini apparentemente simili presentassero significati differenziati nelle regioni.
Fonte più recente di tale dibattito, che smentisce l’origine araba del tutto, è quanto è stato scritto da Vincenzo Mortillaro nel suo Nuovo dizionario siciliano-italiano, nel 1876: «Voce piemontese introdotta nel resto d'Italia ch'equivale a camorra». Con questa affermazione si definisce la presenza della mafia in tutto il territorio italiano, sottolineando, come unica differenza, il riferimento alla camorra, all’epoca ritenuta esclusivamente siciliana.
Riprendendo la definizione citata all’inizio si evince come la mafia attecchisca in situazioni discordanti nei confronti dello Stato. Tale aspetto è fondamentale per comprendere le cause all’origine della criminalità organizzata.
Nella prima metà dell’800, in Sicilia, si ebbero cambiamenti dal punto di vista politico ed economico. La struttura feudale iniziò a decadere, ma la società contadina continuò ad essere vessata dai proprietari terrieri e dai loro gabellieri che, in assenza di leggi e di un potere statale, continuavano a sfruttare il mondo agricolo. Volendo ottenere una regolamentazione dei rapporti sociali si pensò di relegare tale funzione ai cosiddetti “uomini d’onore”, figure in grado di fornire garanzie e di imporre le proprie leggi tramite violenza e repressione.
Sulla base del consenso popolare la mafia riuscì ad infiltrarsi in modo capillare all’interno della società. Si partì dal controllo sulla vendita dei terreni, per poi passare alla distruzione dei beni di prima necessità fino ad arrivare a ricoprire ruoli amministrativi locali e centrali di rilievo.
A partire da quegli anni, grazie al potere garantitole, la criminalità organizzata ha caratterizzato la vita siciliana e non solo in modo eclatante, ostacolando qualsiasi tentativo di riforma negli anni avvenire.
Chiara Argentina
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