Questo non è "Storie Mondiali" e io non sono Buffa


Quindi, dov’eravamo? Il tennis, la vita, ritiro. Ok. Ho fatto un po’ troppo il romantico, forse. Colpa di questa tendenza umana a idealizzare la vita. Tranquilli, sarò scorrevole. Dunque, per comodità riprendo da dove avevo lasciato: il ghiacciolo post-partita.
Quell’estate poco mi importava dello sport, la sola idea di impegnarmi seriamente m'aveva stufato. Arrivato a settembre, però, si faceva sentire la voglia insaziabile dei giorni in cui elimini tossine e non pensi a nulla se non allo sforzo che compi. Non me ne voglia chi frequenta quei posti, ma non volevo finire come tutti nelle palestre, che vedo, essenzialmente, come una delle più grandi fabbriche di depressione odierne. Dalle foto che postate, almeno, si evince solo questo. Mi sbaglierò io. Comunque, non divaghiamo. Avevo un paio di amici che arbitravano calcio a 11, e siccome di natura sono un solitario, avendo già giocato a tennis, in cui l’autosufficienza è la base, ho pensato che forse anche questo sport poteva fare per me, data la mia storica “paraculaggine” che mi consentiva di liberarmi da situazioni difficili (casa/scuola). Per di più, c’era pure l’opportunità di guadagnare qualcosa.

Credo, però, che il motivo più forte e, allo stesso tempo, sotteso, sia stato il bisogno di ritornare ad avere un contatto con il calcio. Per me, per tutti i miei coetanei, e credo e spero sarà sempre così per tutti i ragazzi, il calcio rappresenta l’infanzia. Ragazze mie, potete anche smettere di leggere: è un articolo maschilista, noi a calcio e voi con le barbie, era il gioco dei ruoli a cinque anni. Denunciate questi soprusi alla Corte Suprema e poi fate quello che volete. Ogni tanto ribadisco qualche concetto che mi sta a cuore.
Insomma, chi di noi non si è sbucciato le ginocchia in mezzo alla strada giocando, o non ha usato il garage del vicino come porta spaccando finestre? “Scià sciucati mmeru li casi uestri!” era la frase cult. Ancora oggi sogno di poter entrare in una delle tante case abbandonate del paese solo per prendere tutti i palloni finiti sulle terrazze incustodite e restituirli ai legittimi proprietari. Beh, quei palloni ci raccontano meglio di molte parole. In quel pallone c’è la libertà di sognare di essere Cannavaro che ruba il pallone a Podolski, o Grosso che calcia l’ultimo rigore. Arriva poi la scuola calcio ed è una guerra di tutti contro tutti per emergere, per essere quell’uno su mille. Tutti vogliono essere l’uno, ma nessuno pensa ai 999 frustrati che idolatreranno quell’uno dalla tv. Prima o poi, nel calcio, ci sentiamo come Barone che aspetta invano che Inzaghi gli passi il pallone, e non parlo solo di me, che fortunatamente la disillusione l’ho maturata subito e si è trasformata in consapevolezza. Negli anni ho visto chiunque smettere, chi per infortuni, chi per le canne, chi perché era stato bocciato, chi semplicemente per pigrizia. Una parte è ammassata nei tornei ACSI a sfogare una passione tradita, e questi sono la crema, quelli non falcidiati dal tempo, gli altri li trovi nei campetti di periferia a cazzeggiare per un’ora con gli amici.

C’è anche, però, chi rimane comunque fedele al proprio ideale e continua a giocare a 11 nei campionati regionali. Si, insomma, “giocare” è una parola grossa, ci prova. Questi, per me, sono i più interessanti. Ho cominciato ad arbitrare praticamente per soddisfare il mio voyeurismo nei loro confronti. Vederli così convinti, così menefreghisti, consapevoli ma allo stesso tempo fieri, è un passatempo divertentissimo. In loro c’è questa eterna illusione bambinesca che si riaccende ogni volta che entro nello spogliatoio per il riconoscimento, sono una vera e propria specie protetta. So che state pensando: “ma sto coglione che va dicendo, sono quattro idioti che quando calciano zappano il terreno e vogliono menarti ogni cinque minuti”. Si, è vero, ma questo è quello che voi vedete da fuori, nelle loro teste è molto meno ridicola e umiliante la visione, e vi assicuro che in campo questa sensazione si sente: tutti giocano per vincere, anche più che in Serie A, dove anche se perdi lo stipendio resta lo stesso, mentre in Prima/Seconda Categoria quel poco di paga è data dal bonus vittoria, che viene diviso tra tutti. Se non c’è nemmeno questo, è anche peggio, resta solo la soddisfazione di vincere, e molto spesso assume un po’ i contorni di una guerra, proprio perché risulta l’unica cosa che conta.
Senza dilungare, vi racconto un prototipo di partita di Seconda Categoria dal punto di vista esterno ma allo stesso tempo interno di un arbitro.

Domenica, ore 12:30. Stai mangiando un panino seduto in cucina, col borsone affianco. Lì comincia a salirti il cagotto. Si avvicina l’appuntamento settimanale, quello solito, che già dal venerdì ti crea un certo fastidio, all’inizio invisibile, difficile da riconoscere finchè non arriva il sabato pomeriggio, quello fatidico per noi ragazzi. Schedina, fantacalcio, è tornato il campionato. Questo mi ricorda che è tornato anche il mio di campionato, quello di cui non frega a nessuno, se non a me. Provi a parlare con qualche amico, ma non sanno che dirti se non “chi cazzo te lo fa fare”, tu cerchi aiuto psicologico e quelli praticamente ti smontano. Ok. Con gli amici nisba. Arriva la sera, e decidi che forse è meglio farti a pezza, in fondo te lo meriti per quello che affronterai. La mattina dopo ti svegli tutto sudato, non si sa se per l’alcol o l’ansia, ma poco importa. Cazzeggi per tutta la mattina perché tanto altro non riesci a fare, ti muovi, sei iperattivo. È solo quando hai in bocca un misero panino col prosciutto crudo che focalizzi il punto. D’altronde, ormai è istinto di sopravvivenza, la Spada di Damocle che senti poggiata sul tuo collo te lo impone. Tuttocampo, Seconda Categoria Puglia Girone C, è inutile controllare chi sono le squadre, tanto saranno entrambe due paesini microscopici dell’entroterra leccese (la provincia con più comuni al proprio interno), ma ti interessa la classifica, sperando che non sia uno scontro diretto. Intanto non stai masticando, inghiotti direttamente i bocconi. Cerchi su Facebook e Youtube le squadre, niente, se hanno qualcosa è di 4 anni fa. Fai il tuo giro di messaggi con i colleghi per avere una vaga idea, ottieni qualche numero di maglia difficile da tenere a freno e poco più. È la prassi, sai benissimo che non otterrai niente, ma la pressione ti costringe a farlo.

Sono arrivate le 12:45, papà Nanni è arrivato, tu gli hai detto come al solito di presentarsi in modo neutro, e lui ovviamente ha la macchina della domenica ed è vestito come un finanziere. Perfetto. Tutto secondo i piani. Durante il viaggio, tu vorresti concentrarti perché tra non molto affronterai l’arena coi tori, ma per un motivo o per un altro, questa aspettativa sarà frustrata. Litigi su scuola/famiglia/futuro che capitano proprio in quel momento, o molto più semplicemente papà si lamenta perché vorrebbe stare dalla nonna a mangiare polpette e poi guardare la Serie A e invece l’ho costretto a guardarsi Salve-Alessano pregando che non mi facciano male. Comunque, il campo di questi paesini solitamente non esiste nemmeno su Maps, quindi o sai dove si trova o chiedi ai paesani che, di solito, alle 14, di domenica, in un paese di 5000 abitanti, sono rari come i miracoli. Magicamente, dopo aver girato in tondo per tutto il paese, siccome è piccolissimo, prima o poi lo scovi. Scendi, prendi il borsone e si va in scena.
Quel “si va in scena” per me ha un valore molto simbolico, perché mi dà la convinzione giusta che serve per trasformarmi. È una roba tipo Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Non sono più me stesso, Antonio, Izzo, Pizzuttino, no. Sono il Sig.Pugliese della sezione di Brindisi (ora di Trento, ma arbitrare a Trento è noioso, quindi parlo al passato). D’un tratto ogni turbamento è messo da parte, sono focused sul mio personaggio e solo su quello, che dovrò mantenere su per giù per tre ore.
Entro nell’impianto e m' accoglie il vuoto, non c’è un’anima viva fino a che non arrivi tu con qualcuno che sta filosofeggiando vicino agli spogliatoi, di solito il custode. Sessant’anni, il custode è parte dello stadio, qualcuno dice che lo abbia proprio costruito, nessuno sa dove sia la sua casa, a nessuno interessa, perché lui è il custode, vive e muore nella sua mansione. Ne ho incontrati di tutti i tipi, dagli psicopatici che godevano nel vederti in difficoltà, ai lavativi che non salutano e non lavano, a quelli “eeeh quante ne ho viste”, a quelli “eeeh potresti essere mio figlio”, a quelli che sono talmente sbadati che ti chiudono nell’impianto dopo la gara, ai rompicoglioni a cui devi ricordare i ruoli. Comunque chi per un modo, chi per un altro, tutti strani, ma strani forti.Una categoria umana a parte. Loro ti indirizzano nello spogliatoio.

Bene. Io non so se realmente li lavino o la facciano apposta per infastidire, in ogni caso nello spogliatoio ci sono 84 tipi di malattie diverse, infatti non escludo di aver preso il Covid negli anni scorsi, ma pericolo sfuggito. Dopo aver esaminato che almeno non ci siano animali o cadaveri sciolti nell’acido, esco a controllare il terreno di gioco, in abiti ancora cosiddetti “civili”.

Dimenticavo, dobbiamo presentarci vestiti di tutto punto, molto formali, meglio camicia e giacca, ma io sono un pischelletto dark e mi vesto casual perché mi piace fare la parte dell’arbitro ACAB vicino ai suoi giocatori. Il terreno è un misto di: ghiaia, breccia, sabbia, terra, e altre robe di cui non mi frega assolutamente nulla , eccetto il fatto che in base all’impasto hai un terreno più o meno omogeneo (insomma, sta palla come rimbalza?), essenziale per capire che tipo di partita sarà, se più o meno tecnica o fisica. Immagina una partita ancora più fisica del normale in Seconda. Una tragedia. Le linee del campo sembrano i percorsi che facevo da piccolo con le pietre quando giocavo con le biglie. Le reti delle porte sono bucate quasi sempre in due/tre punti, ma tu fai finta di niente, maledicendo quei portieri ospiti che te lo fanno notare e a cui devi dare ascolto per non perdere credibilità.

Ecco, la credibilità. Questo è ciò che ti perseguita per tutto il tempo, mantenere questo concetto astratto di cui loro non sanno minimamente il significato concettuale, ma che in realtà testano fin dal primo istante. Ti scrutano, se sei vestito troppo bene gli sembri un pinguino, se sei basso sei un bimbo, se sei robusto sei sempre lontano e non vedi un cazzo, se parli in modo pacato ti caghi addosso, troppo deciso vuoi fare il generale, se semplicemente non sei nessuna di queste ma apparentemente normale: “iiizza vagnù, osci stae unu serio, occhio eh”. Praticamente è come la vita, dove tutti vogliono sembrare apposto e non essere giudicati male (si, anche tu che ti ostini che non ti interessa il giudizio e blablablabla), però al quadrato. Qui avviene il contatto coi dirigenti/allenatore per decidere i colori delle divise. Tutti  hanno nei tuoi confronti un atteggiamento paternalistico nel pre gara, tranquillo di qua, di là, figlio, non figlio, caffè, di dove sei o non sei. Negli anni mi sono chiesto se davvero con questo atteggiamento pensassero di “comprarmi” emotivamente in qualche modo, questo perché di solito sto fatto che mi davano la mano lo usavo trattarli anche peggio in campo, facendo finta di essere deluso delle loro proteste vista l’amicizia offerta poco prima. Trucchi del mestiere.

Comunque, finita la tiritera, arrivano le 14:30, ho controllato le distinte (liste dei giocatori) e mi riscaldo insieme ai giocatori.

14:50. Arrivano i tifosi, che variano di numero da paese a paese, da 30 a 1000, in casi rari, anche se tutti con delle caratteristiche in comune, su questo magari ritorno un’altra volta. Intanto c’è il riconoscimento.

Anche questo è un banco di prova interessante. Te li ritrovi faccia a faccia per il confronto con il proprio documento, e qui c’è il primo contatto diretto con ognuno, dove ti rendi istantaneamente conto, a pelle, di chi sono i cagacazzo di giornata. Per primo ti presenti al capitano. Costui, figura mistica del calcio regionale, può essere, a seconda dei casi: un vecchio giocatore di D/Eccellenza decaduto, un capitano/allenatore in campo (una volta ho avuto a che fare con un capitano, allenatore, presidente, dirigente, e in campo regista della squadra, praticamente avevo sempre e solo lui nella partita, per qualunque cosa), il difensore centrale di esperienza o il talento della squadra, il numero 10 che ha già pronta la maglia sotto la divisa da esibire per la tribuna. Tra i quattro esempi fatti, non c’è scelta: lui è solo uno dei tanti, la fascia è simbolica, anche se di solito lo riconosci perché è quello che urla più forte, ma non perché è il più nervoso, semplicemente per stabilire il suo primato. Comunque lì si presenta fiero del compito come fosse una bandiera del calcio. Dopo, come detto, vengono tutti gli altri, compresa la panchina, i dirigenti, e il magico assistente di parte. Costui è quasi sempre il malcapitato custode del campo, a cui toccherà rimanere in piedi 90 minuti a fare nulla con una bandiera in mano per un cruccio del regolamento. Ah, se piove non è che apre l’ombrello, si prende la pioggia come tutti. Dopo tocca inquadrare il servizio d’ordine, che, nei paesi dove c’è molta affluenza, presenta le forze dell’ordine, ma dove questa non c’è, necessita di qualche persona indicata dai locali, che durante la partita deve sostare vicino gli spogliatoi. Inutile dirvi che dopo il riconoscimento questi spariscono nel nulla come libellule, ma se succede qualcosa rinascono come falene e si uniscono alle proteste/risse come se il fatto che siano risorti sia una scusa per non avere gli stessi compiti di prima. Dopo dico qualche cazzata sulle raccomandazioni, e mi sento come la voce nelle pubblicità dei medicinali: sparo robe robotizzate tipo scioglilingua, che non ascolta nessuno. Parastinchi, maglia nei pantaloncini e parla solo il capit..ahahaha.
Va beh, prendo gli attrezzi del mestiere, il pallone, e si entra in campo. Non so con quale faccia ci siano squadre che fanno l’entrata con i bambini, sul serio. Ma poi, dico, i genitori che li mandano su quei campi perché ancora non sono stati segnalati? Parentesi a parte, sorteggio, controllo delle porte, e siamo pronti. Ah, no, l’assistente di parte ancora non è in postazione e la panchina è uno zoo, li faccio sedere tutti. Si comincia.
Ecco, io ora avrei proprio voluto descrivervi che scannatoio mi si parerà di fronte da qui a due ore, ma non era l’intento di questo articolo. Io volevo semplicemente strapparvi un sorriso e invogliarvi a staccare la schiena dal divano alle 15 di domenica, per assistere non a una partita di calcio, ma a uno spettacolo diverso, più umano. In un mondo in cui il bello ce lo sbattono in faccia continuamente, io ho tentato di elogiare il brutto. Spero di esserci riuscito. Alla prossima.

Antonio Pugliese

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