Questo non è Open e io non sono Agassi

Se fino ad ora i miei colleghi hanno tentato la via “mens sana”, per un attimo io richiamo la via “corpus sanum”. No, non ne metto più “latinorum”. Ok, ora ho finito davvero, d’altronde i ricordi sono quelli che sono. Vi parla un modesto calciatore divenuto poi un arbitro. Mi scuso già per i rigori non assegnati negli anni con la speranza che, in questo modo, a mia madre, di domenica, smettano di fischiare le orecchie. Non ho idea del perché io lo faccia ancora, ma vi assicuro che, a suo modo, è rilassante, forse perché tra la carriera di calciatore e quella da arbitro c’è stato uno sport che mi ha fatto penare ancora di più: il tennis. Ed è di questo che vi voglio parlare. Delusi? Volevate sentire gli insulti più fantasiosi, lo so. Invece vi parlo di questo sport di cui non vi frega assolutamente nulla perché “come fai a stare 3 ore a guardarti due che buttano la palla da sopra una rete?” Perché…cioè è il piacere di…non c’è solo questo, ma anche…” va beh, zit...